Ogni tanto, nel corso della Storia delle corse, appaiono dei piloti talmente superiori agli altri da far pensare che vi sia in loro qualcosa di sovrannaturale, per la facilità con cui riescono a scavare divari fra sé e gli avversari. Jim Clark era senza dubbio uno di questi.

Il soprannome che gli fu attribuito rende un'idea di ciò che egli era per gli avversari.

Era un pilota indomito, dallo spirito guerriero, capace di adattarsi alle circostanze quando queste non erano a lui favorevoli. Gli inglesi lo paragonavano a una tigre. Legò la sua carriera a Colin Chapman, geniale ed estroso fondatore della Lotus. E se Chapman era un compositore, Clark era l'ideale esecutore delle sue composizioni.

Clark infatti seguì ed assecondò tutte le richieste di Colin Chapman, come per esempio nel caso della Lotus 25, un colpo di genio nato per compensare la minor potenza del Climax 1500 (adottato da diverse squadre inglesi) rispetto a Ferrari e BRM. Tale vettura richiedeva però al pilota di guidare praticamente sdraiato.

"Ho pilotato il letto più veloce del mondo", disse una volta con sottile humor lo stesso Clark, ma aggiunse anche: "una volta abituatomi alla nuova posizione di guida, mi domandai come avevo potuto guidare le auto da corsa in posizione diversa".

Non solo, ma per ridurre ulteriormente la sezione frontale, Chapman chiese a Clark di reclinare la testa a sinistra nei rettilinei! E così, sdraiato come a letto e con la testa reclinata di lato, Clark iniziò a macinare vittorie su vittorie.

Nel 1962 sfiorò il titolo mondiale, che perse all'ultima gara per un'avaria al motore quando era in testa a pochi giri dalla fine. La Lotus 25 era infatti un'ottima auto, ma troppo fragile. Nel 1963, corretti i vari vizi di gioventù, la 25 trovò una discreta affidabilità e la stagione fu da record:
Clark vinse 7 gare su 10, un dominio assoluto.

Il suo stile di guida era veloce, combattivo, implacabile. Adottava di preferenza la tattica di Alberto Ascari: partiva come un furia e impostava i primi giri su tempi record, acquisendo un vantaggio su cui poi vivere di rendita fino alla fine.

Disse a un giornalista: "Avrai notato che dopo qualche giro tirato, rallento un po' e resto a vedere cosa fanno gli avversari: spesso vedo che rallentano anche loro! Allora io torno a spingere il mio vantaggio aumenta".

Perché rallentavano? La tattica era ovvia, risaputa. Eppure nessuno aveva la forza per contrastarlo. Un avversario sincero (specie molto rara) confessò una volta: "Quando ho l'auto a posto, riesco a seguire Clark per qualche giro. Ma prima o poi commetto un'imperfezione, una traiettoria imprecisa, una frenata anticipata di qualche centimetro, un nulla insomma: ma sufficiente a lasciar andare via Clark".

Per esempio, ad Aintree c'era una lunga curva con una cordonatura liscia sul lato interno. Clark entrava in curva con le ruote interne al di là della cordonatura e la percorreva come agganciato ad un binario. Poteva così farla praticamente in pieno, laddove gli avversari erano costretti a rallentare tantissimo. Aveva imparato la tecnica da Moss, il quale a sua volta l'aveva ripresa da Fangio.
Surtees provò ad imitarlo, ma non ci fu verso di spiccare i tempi di Clark.

La dimensione della sua abilità è data da una confidenza di Trevor Taylor, suo compagno di squadra fino al 1963. In Olanda si era dovuto ritirare, ed era andato a vedere lo stile di guida dei colleghi in uno dei punti più suggestivi di Zandvoort, la frenata della curva Scheivlak. Raccontò, Taylor: "ad un certo punto vidi sbucare sulla cima della collina Clark con l'auto tutta di traverso in derapata sulla strada ancora viscida per la pioggia del mattino. Mantenne l'auto in quella condizione per tutto il tratto che lo separava dalla curva, e lì fu così costretto ad impostare la frenata con l'auto ancora di traverso. Se bisogna guidare in quel modo per vincere, preferisco arrivare ultimo".

Clark era parimenti combattivo tanto se c'era da sconfiggere il cronometro, durante le gare in testa, tanto se c'era da fare imperiose rimonte o duelli serrati.

Nel 64, al Nuerburgring, al via si scordò di azionare la pompa della benzina, e perse 1'. In un giorno di nebbia e pioggia tra le abetaie dell'Eifel, recuperò 41" per poi accontentarsi del quarto posto, dimostrando che non era vera la nomea che si stava facendo, cioè che fosse un pilota che o vinceva o rompeva.

A Zandvoort, nel 66, disponeva del 2000cc Climax, perché il previsto 3000 BRM non era ancora pronto. Ciononostante, per molti giri riuscì a stare davanti a Jack Brabham, che disponeva del Repco da 3000cc, accreditato di un'ottantina di cavalli in più. Dovette desistere solo per noie meccaniche.

Al Ring, sempre col 2000 Climax, riuscì a stabilire la pole position con un giro in apnea, mettendosi dietro i 3000 Repco, Ferrari e Maserati degli avversari.

Ma la rimonta più incredibile forse di tutta la storia della F1, Clark la compì a Monza nel 67. A inizio gara fu costretto ad una sosta ai box per cambiare una gomma forata. Uscì che era doppiato. Iniziò a guidare come un forsennato, demolendo ripetutamente i record sul giro. Giro dopo giro fagocitava letteralmente gli avversari, si sdoppiò, continuò a recuperare, finché non riuscì addirittura a riportarsi in testa superando Brabham e Surtees tra l'ovazione della folla. A metà dell'ultimo giro, la più bella delle imprese fu vanificata dalla mancanza di benzina, che lo fece arrivare col motore singhiozzante non più in là del terzo posto.

Questo non deve però far pensare che Clark fosse semplicemente un pilota spericolato, anzi. Un'altra sua peculiarità era il "feeling" con la meccanica. Non era un grande conoscitore dell'ingegneria, ma era in grado di entrare in simbiosi con la macchina ed adattarsi inconsciamente ai suoi comportamenti. Peter Wright, all'epoca suo ingegnere di macchina, spiegò che con Clark era necessario fare gli "one-lap test": ovvero, fatta una modifica, lo si mandava fuori a provarla, e se il primo giro cronometrato non era buono, bisognava richiamarlo ai box e controllare cosa non andasse. Lasciare girare Clark con un'auto imperfetta, infatti, significava solo fare sì che spontaneamente egli si adattasse al comportamento dell'auto, compensandone i difetti con un appropriato stile di guida, fino a far scendere drasticamente i tempi; e vanificando, di conseguenza, lo scopo del test.

Questa straordinaria abilità gli permise più volte di portare a casa risultati altrimenti impensabili. L'elenco delle sue vittorie o "imprese" impossibili è lunga: in Francia, nel 63, il motore cominciò ad accusare mancate accensioni dopo gli 8000 giri (sui normali 9500). Senza perdersi d'animo, regolò il suo stile di guida come se il motore potesse arrivare al massimo a 8000, in modo da evitare la perdita di potenza, e compensando con frenate più ritardate la perdita di tempo sui rettilinei, riportò i suoi tempi in linea con quelli degli avversari che non riuscirono così a raggiungerlo.

Nel 1964, a Monaco, gli si ruppe la barra anti-rollio posteriore. Per la maggior parte dei piloti, un guasto da ritiro, visto che rende l'auto quasi inguidabile. Clark adattò lo stile di guida alle condizioni dell'auto, e in quella situazione arrivò perfino a segnare il giro più veloce della corsa! E quando era rimontato fino in seconda posizione e si apprestava a dare la caccia al leader, il calo della pressione dell'olio lo costrinse a desistere. Il quarto posto che ne risultò non rese certo giustizia all'incredibile gara di Clark.

Nel 1965, in Inghilterra, era largamente al comando e tutto faceva pensare a una vittoria facile. Invece, poco dopo metà gara cominciò ad avere problemi di pressione dell'olio. La cosa migliore che gli venne in mente fu di cominciare a fare le curve in folle, spegnendo il motore quando non era strettamente necessario, per salvare più olio possibile! In breve riuscì ad adattare lo stile al punto di perdere non più di 2-3" al giro in queste condizioni, e riuscì a conseguire una incredibile vittoria.

Nel 1967 portò alla vittoria il motore Ford alla gara d'esordio con la Lotus 49, tuttavia arrivò con un ingranaggio della distribuzione rotto. Nessuno sa come abbia fatto a salvare il motore in quelle condizioni.

A Watkins Glen gli si ruppe una sospensione negli ultimi giri, ma con la sua solita freddezza portò alla vittoria l'auto in equilibrio precario.

Era anche un pilota eclettico, era capace di andare come spettatore a una manifestazione e vedersi offrire una Lotus Cortina per fare qualche giro. Saliva a bordo e dopo poco stava già demolendo il record della pista!

Nel 1967 perse il Campionato per poco, aveva vinto 4 gare ma si era ritirato troppe volte. Il Campione fu Hulme, con 2 vittorie ma molti piazzamenti. Si apprestava ad affrontare il 1968 con tutti i favori del pronostico. La Lotus 49-Ford era l'auto da battere, e Clark era all'apice della sua parabola.

Ma la Sorte, come concede i propri benefici, così rapidamente rivolge il suo sguardo altrove.

In una gara di secondaria importanza, come Moss, si compì il destino di Clark. Ma a Clark non fu possibile scambiare la propria carriera con la propria vita. Entrò in una delle semicurve di Hockenheim, quando l'auto usci di pista e si sfracellò fra gli alberi. L'errore del pilota fu escluso, nessuno poteva credere che Clark, "il Genio", potesse sbagliare perdippiù su una pista così facile. Ma le cause dell'incidente non saranno mai chiarite.

Alla notizia della sua morte nessuno poteva e voleva crederci.
Chris Amon sintetizzò il sentimento di paura e desolazione che la morte di Clark aveva lasciato fra gli altri piloti: "Se è morto Clark, che era il migliore fra noi, quale speranza di sopravvivere resta a noi altri?"