da Laffite26 » 16/11/2016, 0:53
Molto bello il post di Lucio Rizzica,giornalista di Sky, che descrive efficacemente lo stato attuale di questa formula 1 alla luce della gara di Interlagos
SE IL POLITICAMENTE CORRETTO UCCIDE L'EMOZIONE...
In tempi non sospetti, in uno dei miei rari (per scelta) commenti sulla Formula 1, tanto su questo profilo quanto su altri siti, qualche anno fa scrissi che ci si stava avviando verso una formula noia, incapace di entusiasmare, che trovava i suoi momenti migliori o in caso di pioggia o attraverso il brivido dell’incidente. L’establishment motoristico e molti colleghi mi risposero compatti: superficiale, pessimista, ingeneroso. Salvo poi piangere in coro (accade dallo scorso anno) per il riprodursi all’infinito di gare insignificanti.
In tempi non sospetti, durante le mie telecronache, dissi che forse la mancata uniformità di giudizio dei commissari di gara da circuito a circuito e un esasperato uso di bandiere, sanzioni, decisioni a tavolino, safety car stavano snaturando la massima competizione a motore rendendola una specie di ‘gioco dell’oca’ nel quale si vinceva tirando i dati o aspettando il postino a bandiera a scacchi riposta. L’establishment motoristico e molti colleghi mi risposero compatti: esagerato, diffidente, meschino. Salvo poi piangere in coro (accade dallo scorso anno) per le continue interferenze con lo svolgimento delle corse in circuito.
In tempi non sospetti, nel corso di alcuni dialoghi con i miei interlocutori sui social, dissi (pur rammaricandomi) che il sale delle corse non era l’intento sicuritario ma l’attenzione ai particolari per permettere ai piloti di darsele di santa ragione in pista. L’establishment motoristico e molti colleghi mi risposero compatti: sanguinario, incosciente, crudele. Salvo poi piangere in coro (accade dallo scorso anno) per la monotonia delle corse decise al box o per un intervento della direzione di gara.
Di tutto quanto su elencato mi sono testimoni gli ‘amici’ dei social, quelli con cui ho parlato pubblicamente o privatamente, i lettori di alcuni forum, i telespettatori che si ostinano a farsi male ascoltando le mie cronache in tv, qualche radioascoltatore che ha intercettato alcuni miei interventi, i frequentatori del sito aziendale sul quale scrivevo con periodicità fino a due anni fa, chi mi conosce e ha parlato con me per abitudine o per caso.
Ovvero, gli stessi che potranno testimoniare che io abbia sempre detto che gente come Lewis Hamilton e Max Verstappen rappresentino ad oggi l’ultima speranza di questa F1 di tornare a entusiasmare, a patto di lasciarli correre come sanno. Perché assodato che il rischio morte (il rischio in generale) è ineliminabile negli sport a motore e messo in chiaro che chiunque si metta al volante lo fa nella piena consapevolezza di quello che potrebbe accadergli e sotto la propria responsabilità, il pilota deve fare il pilota. Deve cercare di passare dove il coraggio e l’istinto gli dicono di farlo, deve sportellare, deve tirare fuori gli attributi, deve divorare la strada e bere la pioggia, deve battersi fino all’ultimo metro e usare grinta e artigli. E frenarlo equivale a castrarne le doti, il talento, la qualità e pure a menomare lo spettacolo.
In tempi non sospetti, ovunque, dissi che fare le pulci ad Hamilton e Verstappen significava essere incoerenti con il desiderio manifestato (dagli stessi critici) di ritrovare uno show all’altezza delle premesse tecnologiche. Che voler sterilizzare l’estro per una questione di tifo, simpatia, integrità, garanzia di incolumità mal si sposava con il sogno di tornare a godere di una F1 divertente, interessante, entusiasmante. L’establishment motoristico e molti colleghi mi hanno sempre urlato a muso duro la mia follìa. Salvo poi spellarsi le mani a ogni sorpasso di Hamilton e da domenica scorsa godere come ricci per gli undici sorpassi di Max Verstappen in quindici giri in mezzo al diluvio e spendere paragoni a destra e a manca con Michael Schumacher e Ayrton Senna.
Ero pazzo io o sono frettolosi loro? O forse ci vuole più coraggio a esprimere posizioni fuori dal solito coretto che a fare precipitosa marcia indietro e avventurarsi in lodi sperticate e ipocrite retromarce?
Ci voleva Interlagos per capire che si muore perché un caterpillar sta dove non dovrebbe stare (Jules Bianchi) ma in pista basta un millesimo di sfiga (Henry Surtees) per trovarsi sotto l’unico rimbalzo anomalo di una gomma impazzita? Ci voleva Interlagos per capire che fra safety car, virtual e bandiere blu si falsa ogni risultato? Ci voleva Interlagos per riflettere sull’inopportunità di avere un circus multimilionario e poi preoccuparsi di mettere il guinzaglio alla paura facendo della tempra un accessorio superfluo delle Polistil? Ci voleva Interlagos per rendersi conto che in F1 è più importante tenere schiacciato l’acceleratore e riuscire a restare sul tracciato piuttosto che imparare a memoria il manuale del bon ton?
Ci voleva Interlagos, insomma, per risvegliarsi dal torpore insincero del garantismo a oltranza che moltiplica gli incassi, reca danno all’estetica, allontana gli appassionati, mortifica indole e tecnica e prende per il culo tutti quelli che sono cresciuti fra rombi, lacrime, sangue e brividi e compiace invece chi non vuole turbamenti di coscienza e al massimo nella sua vita ha forse sofferto appena davanti a una consolle?
"A special hello to our dear friend Alain, we all miss you Alain."